Nelle vicinanze dell’azienda é possibile visitare in pochi minuti di macchina la suggestiva valle degli eremi celestiniani.
L’eremo di S. Bartolomeo sorge nella zona più arida della montagna e ciò ne esalta ancora di più, per colori e collocazione, la somiglianza con i pueblos del Nuovo Messico e dell’Arizona. Di origini anteriori al mille fu ricostruito per volere di Celestino V, il Papa del “gran rifiuto” (Dante, Inferno, III), ha conservato una continuità di culto fino ai nostri giorni, legata soprattutto alla pratica degli ex-voto e del culto delle acque (entrambe tuttora in corso!). La vallata è ricca di pitture rupestri a carattere religioso, testimonianza della continuità di culto dell’area, tramandatasi attraverso il cristianesimo fino ai giorni nostri. Purtroppo le pitture non sono facilmente individuabili, ma appaiono come strani disegni simbolici in carboncino nero. Immediatamente sotto l’eremo c’è il “Riparo Ermanno de Pompeis”, bivacco del neolitico utilizzato soprattutto per l’estrazione della selce (pietra silicea simile al vetro) e la sua prima lavorazione per ricavarne lame ed utensili d’offesa in genere.
Non lontano da lì, raggiungibile attraverso un “mistico” percorso immerso nel bosco, si trova l’eremo di S. Spirito. Gli interni comunque sono stati per buona parte rovinati da ignoranti interventi di “restauro” e l’eremo stesso è gestito dalla curia. L’eremo di S. Spirito è senza dubbio il complesso più famoso e più grande, oltre al più ricco di tradizioni. Ha subìto molte trasformazioni negli ultimi mille anni, ma conserva tutto il suo fascino dovuto alla splendida posizione nella valle a cui ha dato il nome, nonché all’atmosfera di mistero che vi regna. Sopra l’eremo un dedalo di scale, ripari sotto-roccia e ruderi di altre parti dell’eremo meritano, per chi non avesse già consumato tutto il fiato per la precedente salita, una veloce visita, anche per godere del panorama che vi si apre. Anche questo luogo sacro ai cristiani era già luogo di culto pagano nella preistoria e protostoria. Lo testimoniano anche qui le numerose pitture rupestri scoperte.
La prima presenza famosa nell’eremo a noi nota è quella di Desiderio, futuro papa Vittore III, che vi dimorò nel 1053 con alcuni eremiti costruendovi una chiesetta. Successivamente, dopo le lunghe frequentazioni di papa Celestino V, l’eremo vide la presenza nel 1347 di Cola di Rienzo, il quale vi dimorò per diversi mesi. Oggi l’eremo è costituito dalla chiesa, dalla sagrestia, dalla foresteria. Assolutamente da non perdere, dopoaver percorso un lungo corridoio addossato alla parete rocciosa, la Scala Santa, interamente scavata nella roccia attraverso la quale si giunge all’oratorio della Maddalena dove si gode di un bel panorama su tutta la vallata.
L’ultimo eremo dove dimorò Celestino V è quello di S.Giovanni all’Orfento, posto in un luogo impervio scelto appositamente dal santo per tenere lontani i sempre più numerosi pellegrini che lo distoglievano dalla sua scelta di vita ascetica. L’accesso all’eremo è l’ultimo ostacolo da superare, essendo stato ricavato da una piatta parete di roccia da cui sono stati scolpiti piccoli gradini e un piccolo tunnel che si affaccia giù a strapiombo, percorribile solo strisciando ! Molto piccolo ma estremamente suggestivo, sopratutto per la passeggiata meravigliosa che dura circa 2 ore fra andata e ritorno. Sulle pareti del vallone nidificano varie specie di rapaci e presso Decontra, oltre alla presenza dell’Orso Bruno Marsicano e del lupo (ma non sperate di avvistarli), non è raro scorgere l’imponente apertura alare dell’Aquila Reale (circa 2 metri !).
La strada che sale da Roccamorice alla Maielletta, molto panoramica, passa accanto ai più interessanti capanni di pietra del massiccio, detti Tholos (simili a dei trulli pugliesi), quelli di Colle della Civita. Queste costruzioni erano dei ripari-abitazioni per i pastori e le loro greggi, che se ne servivano d’estate durante la “transumanza verticale”, cioè l’abbandono delle praterie giù a valle nella ricerca di pascoli più freschi e verdi nella montagna. Spesso in queste rudimentali case passavano parecchi mesi, lontano dalle famiglie e dalle comodità di qualsiasi tipo, determinando quel carattere rude e forte di queste genti descritto dal D’Annunzio (“i taciturni dalle spalle quadre”) e descritti in modo molto interessante nel Museo delle Genti d’Abruzzo di Pescara (v. link nella homepage).